Juve 30 e Lode


E’ successo.

Settimane, mesi a ripeterci “Non succede, ma se succede..”.
E alla fine è successo.
La Juventus è Campione d’Italia per la trentesima volta, con una giornata di anticipo.
Le premesse non erano delle migliori: i bianconeri volavano in trasferta a Trieste, campo neutro e mezzo vuoto (causa politica di costi da parte della dirigenza del Cagliari), con i fantasmi di Lecce in testa. Pioveva, proprio come a Perugia dodici anni fa. La squadra, si vedeva, era tesa e non riusciva ad esprimere gioco. Ma, per fortuna, trova il gol in apertura con Vucinic, l’uomo che doveva essere decisivo. Non lo è stato per tutto il campionato, ma c’è stato quando è servito. Poi il boato del “Nereo Rocco” annuncia il primo gol dell’Inter. E anche il secondo, che però viene annullato. La Juve controlla ma non chiude, come a Lecce. La pioggia aumenta, il tempo non passa. Il Milan pareggia, su rigore (ma va??). Poi l’intervallo, interminabile. Le squadre che tornano in campo. Neanche il tempo di battere il calcio d’inizio che il gelo cala sullo stadio: il Milan è passato in vantaggio. La Juve pare frastornata: sa che giocherà la sfida decisiva senza Vidal (squalificato), Lichsteiner (brutta botta in testa) e De Ceglie (infortunio). Ora, ancor più di prima, il cronometro sembra bloccato. La pioggia aumenta, sembra voler lavar via questo scudetto dalle maglie bianconere ancor prima che qualcuno lo dipinga. Poi la curva esplode: l’Inter ha pareggiato. Conte, contro ogni previsione, decide di non dare spazio a Del Piero e inserisce Borriello. Pochi minuti e l’ex rossonero disturba il difensore del Cagliari al punto di costringerlo all’autogol. La partita è in cassaforte. Manca un quarto d’ora. Nessuno bada più a quello che accade in campo. Tutti ad ascoltare la voce dei tifosi e le reazioni della panchina. Fino all’apoteosi: Marotta si alza in piedi, braccia tese al cielo. Lo stadio si fa bolgia, Conte si lancia sui suoi giocatori in un abbraccio liberatorio a cinque minuti dal traguardo. L’inter è in vantaggio. E’ fatta, lo sanno tutti, ma dopo sei anni così non si può festeggiare in anticipo. E poi accade l’inimmaginabile: il quarto gol dell’Inter. Parafrasando una frase che è entrata nella Storia “Anche Conte ha perso ogni freno inibitorio”.

Fischio. Fischio. Fischio.

La Juventus è Campione d’Italia.

L’invasione di campo è istantanea, i giocatori si rifugiano di corsa negli spogliatoi.

Il resto è cronaca. Immagini e testimonianze che aspettano solo di essere consegnate alla Storia.

Dirigenza, allenatore, giocatori, tifosi. Un’unica voce. Un unico grido: “Siamo tornati“.

Due a Zero. Quattro a Due. L’eterno ritorno.
Ma non si faccia l’errore di paragonare questo successo al leggendario “Cinque Maggio” (a proposito, buon decennale!): a quel tempo la Juve era assidua inseguitrice ed è stato solo l’Inter a buttare via quel tricolore. Oggi, citando quel che ha ripetuto Conte per trentotto giornate, i bianconeri erano “Padroni del loro destino”. Notate le virgolette. E’ già citazione. Il fatto che i ragazzi siano riusciti a portare a casa questo successo è segno evidente che qualcosa è cambiato. La “Juventinità” è tornata.

Bravi! In particolar modo ad Alex e Gigi, gladiatori all’Inferno e comandanti in Paradiso. Anche a Pirlo, per la scelta che ha avuto il coraggio di fare e per quello che ha portato a Torino. A tutti, per l’annata fantastica passata a sgobbare, correre e vincere.

So che il calcio, almeno nominalmente, è solo un gioco. E che forse queste sono solo parole buttate. Ma me ne frego.

Buongiorno a tutti, Campioni d’Italia!

PS: seguiranno, tra sette e quattordici giorni, articoli dedicati ad Alex e alla classifica di questa Juventus.

[Omnia / Luca Zaccaro]


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