La vita ai tempi del CoVid-19


Sei mesi fa è successa una cosa. È come quando arriva un forte vento, pronto a trasformarsi in uragano ma senza ancora annunciarsi. E questo “giovane” uragano ha bruscamente interrotto la routine che, giorno dopo giorno, si ripeteva ormai da qualche settimana.

Solita sveglia. Solita colazione. Solito viaggio in macchina e solito parcheggio. Solito treno (ritardi a parte). Solita camminata. Solito ufficio. Ore di lavoro e poi il ritorno, uguale all’andata ma al contrario. Palestra? Dipende, se non è troppo tardi e se non sono troppo stanco. Poi doccia, cena e un po’ di TV oppure una birretta con gli amici. Poi a letto, pronto a ricominciare.

Ma un giorno, dopo gli allarmi provenienti dal “lontano est”, ecco il primo caso italiano di CoVid-19. E subito dopo il secondo, il terzo e così via. Appare subito chiaro che nella mia Lombardia sta succedendo qualcosa di importante. Di diverso. Di pericoloso.

Prima che la situazione degenerasse è la mia stessa azienda che mi consiglia di iniziare a lavorare da casa. Faccio il consulente informatico e fortunatamente lo Smart Working nella mia società è una realtà già da qualche mese. Ma, chissà come mai, fino a questo 26 di febbraio ci è sempre sembrato di “appropriarci di qualcosa che non ci spetta” quando decidiamo di lavorare da casa. Quanti problemi per nulla.

Ma non mi era mai capitato di lavorare per più di due giorni di fila da casa. Intanto la situazione intorno a me precipita e la Lombardia sembra sempre più una “zona di guerra” (virgolette obbligatorie). Mi sento un privilegiato. Mancano ancora due settimane al lockdown nazionale e devo ammettere che, con così poco preavviso, l’organizzazione del lavoro di tutti i giorni da remoto, per me e per i miei colleghi, non è sempre facile. Le infrastrutture di rete dei Clienti non sono pronte ad una simile emergenza e la VPN spesso gioca brutti scherzi. Ma intanto siamo tutti a casa e molto più al sicuro di chi continua ad usare mezzi pubblici e a chiudersi in piccoli uffici sovraffollati.

Mi mancano i colleghi. Mi manca l’interazione umana. Mi mancano le pause ignoranti e le battute di un sarcasmo che va capito. Che piacevole scherzo del destino (ma questa è un’altra storia).

Piano piano il mondo sembra dividersi in due: da una parte il dramma di famiglie che soffrono e che vengono divise da un virus che qui da noi sembra colpire molto più duro che altrove, dall’altra parte una quotidianità che giorno dopo giorno ti fa riscoprire cose che avevi quasi dimenticato. Che bello sfruttare il sole della primavera che avanza e lavorare dal proprio giardino. Che bello chiamare (o videochiamare) persone che non vedi da un po’. Che bello non dover fare tutto di corsa la sera. Che bello poter usare quotidianamente quel tapis-roulant che da troppo tempo stava spento in cantina. Che bello vivere un po’ in famiglia senza la fretta della vita di prima.

Passano le settimane e mi sento più rilassato. Fortunatamente in famiglia il Covid non ha fatto danni. Continua a mancarmi molto il contatto umano con amici e colleghi ma ormai abbiamo re-imparato ad usare il cellulare anche per telefonare e dopotutto sembra comunque di essere insieme.

Intanto il lavoro procede. E procede, secondo me, molto bene. Se facciamo il conto delle ore si lavora molto più di prima ma la “leggerezza” di non dover affrontare viaggi lunghissimi per andare e tornare dall’ufficio non ha eguali.

È un risultato storico: l’Italia sembra essere entrata tutto d’un tratto nel ventunesimo secolo rivalutando lo Smart Working laddove possibile. “Smart”, appunto. Perché se una sera ho un impegno alle 17:30 sono libero di gestirmi il mio tempo come voglio senza nulla togliere agli obiettivi che ci siamo prefissati ma anche senza dover incastrare mille cose con l’occhio sempre sull’orologio.

È da qui che mi piacerebbe ripartire. Dall’idea di un lavoro che si sposi meglio e al meglio con la nostra vita quotidiana, bilanciando più razionalmente le cose. Lavorare a stretto contatto con i colleghi è importante, fondamentale. Ma ci sono lavori per cui un paio di giorni a settimana da remoto permettono a tutti di vivere una vita migliore e, di riflesso, lavorare meglio.

Spero che questa possa essere una delle tante riflessioni che questi stranissimi sei mesi ci hanno insegnato e che non vada tutto perso e dimenticato con il passare del tempo.

Italia, non tornare nel ventesimo secolo dove il lavoro è sempre e solo “sotto lo sguardo del padrone”. C’è un Mondo là fuori da scoprire e una vita da vivere. Luca


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